Lotta Europea

Lotta Europea

mercoledì 5 dicembre 2012


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Lotta Europea n°3
 
Il terzo numero del bimestrale europeista Lotta Europea è online, come sempre consultabile gratuitamente. Chiunque volesse sostenere la nostra lotta e le nostre iniziative editoriali, può comunque farlo acquistando la singola copia cartacea (3€) o abbonandosi a 6 uscite (18 €) tramite l'apposito widget. E' in corso anche un'ulteriore offerta speciale: i numeri 2 e 3 di Lotta Europea a soli 5 €.
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venerdì 30 novembre 2012

Ci dispiace, ma non riusciamo ad accodarci ai tanti che in buona fede in queste ore stanno esultando per l'ammissione dello stato di Palestina all'ONU come stato ossevatore. Ci piacerebbe, ma non ci riusciamo.
Non riusciamo ad appassionarci all'ammissione della Palestina ad un'organizzazione senza peso politico, utile strumento nelle mani dei signori del mondo per muovere le proprie pedine sullo scacchiere internazionale.
Non riusciamo a dimenticare le tante belle parole spese per il muro di Gerusalemme, rimaste inevitabilmente lettera morta.
Non riusciamo a coprire il silenzio omertoso che per decenni ha coperto il genocidio palestinese.
Non riusciamo a non sentire le parole di Netanyahu per cui il voto sulla Palestina ''non modificherà alcunché sul terreno'' e "allontanerà" la costituzione di uno stato palestinese.
Non riusciamo a non vedere le 3000 unità abitative per i coloni messe in cantiere a Gerusalemme Est e in Cisgiordania all'indomani del voto.
Non nascondiamo che il voto potrebbe essere un cavillo per far saltare gli accordi di Oslo del 1993.
Per quanto ci sforziamo, sappiamo che la situazione sul terreno non cambierà e i missili su Gaza sono un ricordo troppo recente per essere rimossi.
Sarebbe bello se ci sbagliassimo. Read More

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giovedì 29 novembre 2012


Facebook ha bloccato il profilo utente di Lotta Europea perché violento (sic!).
Per non perdere una visione europeista delle cose del mondo e continuare ad ascoltare una voce differente nel chiacchiericcio omologato di Internet, continua a seguire la sua pagina FB.
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Domenica, oltre al ballottaggio delle primarie del PD, si terranno le ben più interessanti ed importanti elezioni catalane, che hanno catalizzato la paura del governo di Madrid per quello che si preannuncia un vero e proprio referendum per l’autonomia della regione.
Artur Mas, leader catalano, nonostante non abbia la maggioranza assoluta dei voti, fa infatti tremare le vene e i polsi al governo, annunciando la volontà di riconquistare “il suo posto tra le nazioni europee”. Una dichiarazione che, dopo l’accordo del premier indipendentista scozzese Alex Salmond con il governo britannico sul referendum per l’autonomia scozzese da tenersi nel 2014, che porterà con tutta probabilità allo strappo definitivo con l’Inghilterra, fa accrescere il timore non solo dei governi “legittimi”, ma di tutta l’Unione Europea, che vede crescere all’interno degli Stati, l’autodeterminazione di “piccole Patrie”, che si convertirà inesorabilmente in una spinta centrifuga dal punto di vista dell’amministrazione UE.
Quale che sia il finale, una sola cosa è certa: il gigante mondialista non è più inattaccabile, ma anzi, sta iniziando ad oscillare pericolosamente.
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venerdì 9 novembre 2012

A Pechino è nata una nuova Agenzia di Ratings: la "Universal Credit Rating Group”, società mista nata dalla collaborazione della cinese Dagong, della russa RusRating e dell’americana Egan-Jones.
Scopo dichiarato del nuovo soggetto finanziario, apertamente espresso durante la conferenza stampa di presentazione tenutasi a Pechino, è quella di creare un nuovo riferimento per gl investitori, alternativo al cartello di marca americana, composto da Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch, che da soli controllano il 90 % del mercato del rating.
Una mossa prettamente politica prima ancora che economico-finanziaria. Una mossa che permette naturalmente di rafforzare l'asse Mosca-Pechino, ormai ben delineato, almeno da quando la Cina ha cominciato a pagare in yuan il petrolio russo. Da una parte la Russia, che ha trovato ad Est, nella Cina e nel Giappone, quei partner economici che non ha trovato ad Occidente in Europa; dall'altra la Cina, che sgomita per smarcarsi dall'orbita di Washington, a cui resta comunque ancora legata a doppio filo.
L'Europa, la UE, come sempre resta a guardare, incapace di prendere decisioni altrettanto coraggiose. Read More

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lunedì 29 ottobre 2012

Il 26 ottobre scorso il Parlamento georgiano ha ratificato la nomina del nuovo presidente del Consiglio, il magnate e imprenditore Bidzina Ivanishvili, vincitore delle elezioni tenutesi il 1 ottobre: un vero e proprio burattino nelle mani degli Stati Uniti, che ha subito annunciato che il suo governo “svilupperà le istituzioni democratiche e stabilirà la legge del diritto” e che il suo primo viaggio internazionale sarà a Washington. Le parole d'ordine con cui ogni governo filooccidentale si presenta agli occhi del pubblico occidentale e dei salotti buoni da vent'anni a questa parte, contro il "tiranno" Putin e la sua "feroce dittatura". Intanto la Clinton si è precipitata al telefono per congratularsi di persona e per discutere "il futuro della cooperazione tra Georgia e Stati Uniti.
E' dai tempi della Rivoluzione delle Rose che Tbilisi ha voltato le spalle a Mosca per abbracciare il capitalismo occidentale e gonfiare i propri fatturati e le proprie casse di dollari: un duro colpo alla Russia che si è trovata così isolata rispetto all'Europa, tagliata fuori dalle rotte energetiche grazie alla costruzione dell'ormai famigerato oleodotto TBC, che attraversa lo stato caucasico.
Un altro punto a favore degli U.S.A.
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martedì 2 ottobre 2012

Un colpo di Stato giustificato alla bell’e meglio, la separazione del paese, disordini e massacri attribuiti ai jihadisti , ed ora l’epilogo o l’inizio di una storia sentita già troppe volte: l’intervento militare in Mali. La nostra attenzione per la geopolitica africana, dove si combattono, neanche troppo velatamente, gli opposti interessi cinesi e americani, e per la situazione maliana in particolare, non è nuova: ce ne siamo occupati da tempo, per lo meno da quando la situazione è precipitata. E non ci siamo sbagliati, anche se la previsione non era difficile. Per ristabilire “l’ordine” in Mali verranno dispiegate forza africane, il cui operato, senza aiuti, avrà scarsa efficacia: per questo verranno coadiuvate nelle operazioni militari dai francesi, cui spetterà la parte del leone nella ricostruzione e nella gestione del paese, aiutati a loro volta da Gran Bretagna, Polonia e Germania, con l’appoggio politico di Italia e Spagna (che non possono offrire altro). Per il momento, Russia e Cina hanno promesso di non apporre il veto alla prossima risoluzione ONU. Vedremo come andrà: il Sahel è un piatto ricco, e tutti vorranno saziarcisi. Read More

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lunedì 10 settembre 2012

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Il secondo numero del bimestrale europeista Lotta Europea è online, come sempre consultabile gratuitamente.
Chiunque volesse sostenere la nostra lotta e le nostre iniziative editoriali, può farlo acquistando la copia cartacea (3€) o abbonandosi a 6 uscite (15 €): basta scrivere una mail a lotta.europea@gmail.com indicando nominativo, indirizzo e numero di copie da acquistare o di abbonamenti da sottoscrivere.
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sabato 1 settembre 2012

Mai come in questi giorni è facile capire chi detiene veramente il potere, nonostante la sfida per le primarie sia ancora aperta ed il risultato delle successive elezioni presidenziale sia tutt'altro che scontato. Mai come in questi giorni è chiaro come il potere non si decida all'interno della Casa Bianca.
Perché è notizia di questi giorni che il processo contro laa banca d'affari Goldman Sachs, accusata di aver rivestito un ruolo fondamentale nella crisi dei titoli subprime del 2007 (e di conseguenza nell'innesco delle presenti crisi e recessione globali), non arriverà a condanna ma sarà archiviato. Una lauta ricompensa per aver profumatamente investito nella campagna presidenziale del presidente coloured.
A costo di essere ripetitivi e monotoni, lo ripetiamo ancora una volta: le più importanti banche mondiali, pur avendo scatenato la crisi finanziaria globale, vengono prima salvate dal fallimento poi assolte dalle proprie colpe perché tengono a strozzo gli stati, retti da burattini saliti ai posti di comando con i soldi delle stesse banche (laddove non siano uomini usciti dai loro uffici).
I banchieri dormono sonni tranquili, perché le mani se le sporcano altri, segnando con una croce le schede elettorali. L’orgoglio (tutto vostro) della democrazia rappresentativa.
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sabato 21 luglio 2012

Gli Emirati Arabi Uniti hanno ufficialmente inaugurato un nuovo oleodotto che permetterebbe loro di bypassare lo stretto di Hormutz che l'Iran ha minacciato di chiudere in seguito alle sanzioni ricevute dagli Usa e dall'UE. L'oleodotto collega i giacimenti di Habshan (sul golfo Persico) con il porto di Fujairah, all'esterno dell'imbocco dello stretto.
La notizia ha suscitato lo sdegno dell'Iran che ha commentato il progetto come "propaganda politica guidata dai Paesi Occidentali". E' chiaro infatti che questo progetto abbia il doppio fine di ostacolare il controllo iraniano sul traffico petrolifero della regione e di tranquillizzare i mercati frenando l'aumento dei prezzi a seguito delle minacce di Teheran circa la chiusura dello stretto.
Per gli stessi motivi, l'Arabia Saudita ha inoltre in progetto di riconvertire l'"Ipsa", un vecchio oleodotto costruito da Saddam negli anni '80, in modo da portare il proprio petrolio fino al porto di Yanbu, sul Mar Rosso e di potenziare le due condotte parallele, le "Petroline", che attraversano il paese da est a ovest. Read More

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venerdì 6 luglio 2012

Ebbene sì, proprio dopo l’avvenuta elezione del nazionalista Nikolic, dopo il suo fermo “No pasarán” all’indipendenza kosovara, dopo le splendide dichiarazioni sulla necessità di un alleanza euro-russa, in autunno il Kosovo avrà la tanto agognata sovranità e diventerà uno stato indipendente. Questa è la condizione dettata per aprire i negoziati sull’ingresso della Serbia nell’Unione Europea.

Il Kosovo, da quando nel 2008 ha dichiarato la propria indipendenza da Belgrado è de facto amministrato dalle Nazioni Unite, intervenute a difesa dei diritti della comunità albanese presente in loco. Ma perché tutto questo interesse per un lembo di terra? Dopo essere passato nelle mani dell'Occidente, il Kosovo è diventato il centro del traffico di esseri umani e di droga, del riciclaggio di denaro e dell'addestramento dei terroristi: grazie alla prossima ufficializzazione dell’indipendenza questa situazione si stabilizzerà.

Ma se gli “indipendentisti” sono mossi da questi sporchi interessi, mascherati dalla lotta per l’autodeterminazione del popolo albanese, di più alto tenore è l'opposizione serba: la terra rivendicata dagli albanesi è la stessa dove nel 1389 si combatteva la battaglia della Piana dei merli, simbolo della resistenza serba contro l’avanzata ottomana nei balcani, dove pochi cristiani hanno lottato per la civiltà europea.

Un paese che è il cuore d’Europa e che ha lottato per la sua difesa dovrebbe tollerare e ufficializzare la presenza dell’islam sunnita, nel luogo dove è stato sparso il sangue dei suoi padri, per l’ingresso nell’Unione Europea, cui già appartiene per geografia, storia e civiltà? Un paradosso maggiore non si sarebbe potuto immaginare.
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giovedì 5 luglio 2012

-Ultima serata della stagione-
Serata di solidarietà in sostegno della popolazione greca colpita dalla crisi finanziaria.Presentazione da parte del Movimento Sociale Europeo dell’evento in programma a Salonicco il 15 luglio prossimo:“ACROPOLIS vs WALL STREET”
venerdì 6 luglio, dalle ore 21.00
Fortezza Europa Pub - Viale di Tor di Quinto 57/b, Roma
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venerdì 29 giugno 2012

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Lotta Europea n°1


Leggere, diffondere... passare all'attacco!
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mercoledì 27 giugno 2012

L'Iran, isolato dall'Europa (il primo luglio scatterà infatti l'embargo totale sul suo petrolio), si trova a tessere nuove e importanti relazioni.

Un'apertura arriva dall'Egitto: il nuovo presidente Morsi avrebbe rilasciato un'intervista ad un quotidiano iraniano, augurandosi stabili relazioni con Teheran al fine di creare un "equilibrio strategico" nella regione.

La politica estera iraniana non si limita al Medio Oriente: Ahmadinejad si è recato nuovamente in Sudamerica (appena 5 mesi dopo l'ultima visita) dove ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Bolivia e ha abbracciato Chavez che gli ha espresso tutta la sua solidarietà per gli ''ostacoli imposti da imperialismo, embarghi, minacce e sanzioni unilaterali" di cui l'Iran è stato vittima a causa del suo programma nucleare. I legami fra Iran e Venezuela sono anche di natura economica: giusto poche settimane fa NIOC e PDVSA, le compagnie petrolifere di stato dei due paesi, si sono accordate per lo sviluppo del giacimento petrolifero di Dobokubi in Venezuela. L'Iran sta approfittando dell'affrancamento dell'America Latina dall''orbita di influenza U.S.A., alla ricerca di nuovi mercati, alternativi a quelli occidentali.
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Dalle rovine di un mondo sconfitto, una nuova voce si è levata.
La voce di un popolo in lotta.
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mercoledì 20 giugno 2012

L'ultimo vertice Opec (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) si è concluso con un nulla di fatto. La riunione non è però stata inutile perché in fase di discussione sono usciti allo scoperto due blocchi di paesi contrapposti: da un lato l’Arabia Saudita che, spalleggiata da Emirati Arabi Uniti e Kuwait, aspira ad un aumento della produzione e con conseguente abbassamento del prezzo del greggio; dall’altro l’Iran e gli altri “falchi del prezzo”, vale a dire Venezuela, Algeria ed Iraq, una tantum insospettabile alleato di Teheran. L'obiettivo dei Sauditi non è certamente quello di apparire come benefattori dell'umanità e dell'Occidente assetato di petrolio, quanto quello di colpire l'Iran che, a causa delle sanzioni internazionali, ha subito un drastico calo delle esportazioni così da necessitare di un aumento dei costi per tornare ad avere i conti in verde.
La battaglia per l’egemonia del Golfo è senza esclusione di colpi: poco tempo fa al Consiglio di Cooperazione del Golfo l'Arabia Saudita aveva proposto una federazione politica tra i paesi arabi del Golfo in chiave anti-Teheran. Un'eventualità al momento tutt'altro che probabile visto che il Quatar, l’Oman e gli Emirati difficilmente cederanno la propria sovranità ai Sauditi.
In attesa della federazione politica, la riunione dell'OPEC ha comunque ribadito la forza e la coesione del blocco economico saudita, fermamente intenzionato ad isolare e contrastare l'Iran. Un obiettivo la cui realizzazione non avrà bisogno di alcun intervento militare, se continueranno questi attacchi economico-speculativi.
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venerdì 15 giugno 2012

Tra qualche giorno i canali televisivi nazionali siriani saranno sostituiti da programmazioni create appositamente dalla CIA: la lega Araba ha infatti chiesto ufficialmente agli operatori satellitari "Arabsat" e "Nilesat" di interrompere la ritrasmissione dei media Siriani, pubblici e privati (Syria TV, al-Ekhariya, ad Dunya, Cham TV ecc.).

Un'operazione molto simile a quanto già accaduto in Libia, dove la censura televisiva aveva evitato che i leader libici potessero comunicare con il proprio popolo. La differenza è che questa volta in Siria gli schermi non saranno semplicemente oscurati, ma diffonderanno unicamente immagini di propaganda anti-Assad e informazioni false e tendenziose, mettendo preventivamente a tacere qualsiasi tentativo di smentita da parte del governo. L'obiettivo è chiaro: preparare un colpo di stato.

Un'operazione telecomandata (è il caso di dirlo) da Ben Rhodes, vice-consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che ha premuto sull'acceleratore dopo che il presidente russo Putin ha minacciato una forte opposizione a qualsiasi intervento militare: al possibile e probabile doppio veto russo e cinese in sede si autorizzazione ONU all'intervento, Washington risponde aggirando l'ostacolo ed agendo, silenziosamente ma apertamente, per la destabilizzazione del paese dall'interno.
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lunedì 11 giugno 2012

La guerra fra Israele e Iran è già iniziata, ma per il momento si combatte per vie informatiche. Si chiama Flame, il supervirus che ha colpito migliaia di computer in Iran, sottraendo conversazioni, email e scattando screenshot a ciò che appare sui monitor. Teheran non ha dubbi: così come fu l'anno passato per Stuxnet, il virus che colpì il sistema nucleare iraniano, anche questa volta c'è dietro la mano di Israele. Da parte di Israele, giungono invece voci che nascondono un ammissione: "Per chiunque veda la minaccia iraniana come significativa, è ragionevole intraprendere passi differenti, fra cui questi attacchi con virus, per sventarla" ha riferito il vice primo ministro Yaalon, che ha inotre sottolineato come Israele sia un paese "ricco dal punto di vista tecnologico". Nel frattempo, l'Iran, non curante delle minacce sioniste, ha annunciato l'inizio dei lavori per una seconda centrale nucleare nel paese. Lavori che vedranno l'appoggio e il finanziamento di Mosca.
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domenica 10 giugno 2012

A suon di menzogne e video truccati, la campagna mediatica contro la Siria di Assad continua il suo lavoro in preparazione di un futuro sempre più probabile intervento militare delle “democrazie” occidentali contro il tiranno locale. Perché?
Perché la Siria è divenuta il centro del mercato del gas da quando, nel luglio del 2011, ha siglato un accordo con l’Iran per la costruzione di un gasdotto, ribattezzato “gasdotto islamico”, per sfidare la leadership saudita nel settore energetico. Il condotto, la cui ultimazione è prevista per il 2014, condurrà il gas iraniano direttamente nel Mediterraneo, attraverso Siria e Libano meridionale, aprendo così a Teheran un nuovo mercato, finora parzialmente precluso. L'accordo ha una rilevanza geopolitica straordinaria: oltre ad aprire un nuovo mercato alle materie prime di Teheran, conferisce alla Siria quel ruolo di ponte tra Europa e prodotti vicino-orientali finora svolto dalla Turchia.
Terra di giacimenti di gas e nodo strategico fondamentale, non è un caso che la Siria diventi oggi bersaglio delle attenzioni dei media occidentali nel momento in cui il suo ruolo geopolitico assume notevole importanza. Come per le rivoluzioni colorate che hanno coinvolto le repubbliche ex-sovietiche, si vuole creare una protesta a tavolino, per affidare il potere ad un nuovo governo accondiscendente alle volontà degli Stati Uniti.
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giovedì 24 maggio 2012

Per l'ennesima volta l'entità sionista ha violato gli accordi internazionali, proseguendo le ricerche petrolifere nelle alture del Golan, regione al confine con la Siria, annessa unilateralmente da Israele nel 1967 nel corso della Guerra dei Sei Giorni e ancora di fatto sotto l'occupazione israeliana nonostante le decine di provvedimenti adottati dal Consiglio Nazionale e dalle Nazioni Unite.
Le parole del ministro dell'Energia di Gerusalemme, riportate dal giornale "Yediot Ahronat", non lasciano alcun dubbio: "Israele non riconosce la volontà internazionale, e in particolare la risoluzione dell'Onu numero 497", ossia quella che sancisce la nullità della sua amministrazione sul Golan siriano.
Solo una delle tante mozioni ed impegni assunti dagli organismi internazionali rimasti lettera morta: neanche i soldati della missione UNDOF dell'ONU, pur presenti nel Golan, ostacolano le mire di Israele, più volte chiamato a lasciare i territori occupati nel 1967 e rientrare nei sui confini originari.
A nulla valgono le pur deboli pressioni internazionali di fronte all'importanza strategica della regione che permette il controllo del Mare di Galilea e del fiume Giordano, le maggiori risorse idriche del Paese. Oro azzurro e oro nero: l'occupazione continuerà ancora a lungo. Read More

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mercoledì 9 maggio 2012

Dal 17 aprile oltre duemila prigioneri politici palestinesi nelle galere israeliane sono in sciopero della fame per protesta contro la carcerazione preventiva.
Il mondo, oggi come allora, sta a guardare. Read More

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venerdì 4 maggio 2012

Fra le pagine dell'Antico Testamento e più precisamente nel libro di Giacobbe si fa riferimento ad un mostro marino "fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe": il Leviatano.
Lo stesso nome, Leviathan, di un giacimento di gas naturale rinvenuto nel bacino del Levante, a largo di Haifa. Una scoperta che modificherà la politica di Israele, che, pur non essendo mai stata energicamente indipendente fin dalla sua nascita nel 1948, potrebbe improvvisamente divenire, con i giacimenti di Tamar e di Leviathan, uno dei maggiori esportatori di gas della regione, attirando a sé il baricentro strategico e dando vita a nuove intese o a nuove frizioni con i paesi vicini: su tutti, il Libano che sostiene la tesi per cui una parte dei giacimenti rientrino nelle sue acque territoriali. Una scoperta che ha già ringalluzzito Netanyahu, il quale ha esortato un grande investimento nei confronti di Romney, voltando così le spalle ad Obama per il suo sfidante.
Un mostro marino destinato a creare disordine, come è scritto nel suo nome.
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lunedì 30 aprile 2012




Poet, Gaeilgeoir, Revolutionary, IRA Volunteer

Bobby Sands martire d'Europa

a trentuno anni dal suo sacrificio



Venerdì 4 maggio - dalle 19:30

Fortezza Europa Pub

viale Tor di Quinto 57/b



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venerdì 27 aprile 2012

La situazione nel Pacifico, snodo fondamentale per i traffici petroliferi, sta diventando sempre più instabile e nella secca a sud della Cina, vicino all'isola di Luzon, nelle Filippine, soffia un vento di guerra. Scrive il quotidiano cinese Global Times che "è preciso dovere della Cina rafforzare il potere di deterrenza nel Mar cinese meridionale, difendendo i propri diritti con dimostrazioni di forza” e, ancora, che “un conflitto armato è ancora possibile”.Frasi che pesano come macigni, arrivate a seguito di un lungo periodo di incidenti diplomatici e scaramucce tra Cina e Filippine: l'episodio più importante, la settimana scorsa, ha visto l'intervento di due portaerei cinesi per trarre in salvo i membri di due pescherecci di connazionali, passibili di arresto secondo Manila, che aveva già inviato una nave da guerra a compiere l'azione. Da quel momento, il tratto di mare conteso, intorno all'arcipelago noto come Scarborough Shoal oppure come Huangyan a seconda della lingua parlata, filippino o cinese, è presidiato tanto dalle pattuglie navali cinesi quanto dalla guardia costiera filippina.Il soprannome di "secondo Golfo Persico", dovuto alla ricchezza di petrolio e gas naturale, spiega bene l'importanza di queste piccole isole inesplorate e sconosciute ai più. A contendersi il controllo della zona, oltre alla Cina e alle Filippine, ci sono anche la Malesia, Taiwan, il Brunei, il Vietnam e gli immancabili Stati Uniti, corsi in aiuto di Manila con almeno 4500 soldati impegnati in esercitazioni militari (denominate Balikatan) congiunte con l'esercito filippino. La risposta di Pechino non è tardata: il Ministro della Difesa ha, infatti, accusato l'ingerenza della Casa Bianca e la sua "mentalità da guerra fredda".Una guerra fredda che, possiamo profetizzarlo, non diventerà mai "calda" e non sfocerà mai in una gueera aperta: troppi gli interessi comuni e i legami che accomunano i due Paesi più di quanto singole questioni contingenti li dividano.

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venerdì 20 aprile 2012



"Tu regere imperio populos, Romane, memento:
hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem,parcere subiectis et debellare superbos."

Venerdì 20 aprile 2012 h 20.30

FORTEZZA EUROPA pub - Viale di Tor di Quinto 57/b - Roma



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Sempre più ostica la strada che porterà alla costruzione del gasdotto che dovrebbe presto portare il greggio iraniano al Pakistan: un gasdotto da1,5 miliardi di euro, lungo oltre 2 mila chilometri dai giacimenti di South Pars (nel Golfo Persico) alla provinciana pachistana del Baluchistan (nel sudovest del Paese) a Karachi, capitale economica del Pakistan. Inizialmente il progetto prevedeva il prolungamento della conduttura fino all'India (da qui il nome "gasdotto della Pace", a sancire un riavvicinamento tra le storiche avversarie India e Pakistan), ma le pressioni statunitensi, concretizzare tramite l'offerta di un sostegno nello sviluppo del programma nucleare civile (poi bloccato perché utilizzato per scopi militari), hanno fatto saltare il tavolo delle trattative.

Gli interessi contrari alla costruzione di tale gasdotto fanno aumentare i sospetti di un intervento dei servizi segreti statunitensi e indiani (ma anche inglesi ed israeliani) nel sostegno e nell'armamemto dei movimenti separatisti del Baluchistan, in funzione anti-Islamabad ed anti-Teheran. Ma a rovinare i piani occidentali è aarrivata la Cina, che si è proposta per sostituire l'India come meta finale del gasdotto, entrando, anche finanziariamente, nel progetto.
Si prevedono grandi attentati nella regione...
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sabato 14 aprile 2012

"La Cina sta tessendo alleanze in funzione di una collocazione strategica in vista della fine dell'era Castro a Cuba, con la quale ha forti legami strategici": è quanto riporta il New York Times facendo riferimento a un cablogramma americano del 2003 reso pubblico da Wikileaks.
Ora che sono passati 9 anni da quel documento è possibile verificare quanto scritto. Anni fa Hugo Chavez ha permesso che imprese cinesi ricercassero petrolio nel territorio venezuelano così come un accordo con Cuba aveva permesso a Pechino di sfruttare un giacimento nei mari dello stetto della Florida. Le mire cinesi sulle isole caraibiche nel frattempo non si sono spente, ma, al contrario, si sono concretizzate in vari modi: stadi a Nassau (Bahamas) e a Dominica (Porto Rico), ospedali a Antigua e Barbudal, la residenza ufficiale del Primo Ministro a Trinidad e Tobago, un megaresort a Baha Mar, tutti regalati e tutti made in China. Investimenti costati parecchie centinaia di milioni di dollari, realizzati in isole e stati che si trovano giusto a un'ora di volo dalle coste degli Stati Uniti e da sempre sotto la loro influenza.
Come la prenderà ora lo Zio Sam?
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martedì 10 aprile 2012

Continua il processo di delegittimazione del potere di Assad, da parte della Turchia. Il premier turco Erdogan senza mezzi termini ha infatti dichiarato che la Siria rappresenta un vero e proprio pericolo. Il motivo? Sembrerebbe, ma non è affatto provato, che Damasco sia il maggior finanziatore del Pkk, il movimento armato curdo che nelle ultime settimane si è reso protagonista dell'uccisione di 6 poliziotti turchi. Assumendo a verità assoluta questa possibilità, la Turchia non si è limitata a richiamare in patria il proprio ambasciatore a Damasco, ma è arrivata addirittura a criticare apertamente il piano di pace Annan presentato all'Onu dalla Russia e che oggi dovrebbe entrare in esecuzione. Nel testo presentato da Medved, si ritiene giustificabile la risposta del governo di Damasco agli attacchi dell'esercito libero siriano e si dichiara che sarà possibile fermare la guerra civile solo se gli stati occidentali cessano di rifornire e addestrare i ribelli siriani. L'ennesima mossa della Turchia, che ha mostrato i propri intenti umanitari nell'allestire campi profughi per accogliere gli esuli siriani ma allo stesso tempo finanzia l'esercito libero siriano, permette ai ribelli di incontrarsi nel suo paese e ospiterà ad Instanbul il secondo vertice degli "amici della Siria". Read More

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martedì 27 marzo 2012

Durante una lezione tenuta alla Columbia University, il premio Nobel Joseph Stieglitz, parlando della situazione economica europea, ha spiegato come in realtà la BCE esegua gli ordini dell’ISDA, un’organizzazione finanziaria il cui acronimo di tolkeniana memoria sta per “International Swaps and Derivatives Association”. In parole povere: si tratta di un organizzazione privata, con sede a Londra, che gestisce un capitale di 47.000 miliardi di euro, che non influisce bensì PRENDE le più delicate decisioni finanziarie in Europa.


Che la BCE agisca sotto dettatura dei privati non è una grande notizia, che i burattinai del mondo non si nascondano in delle buie cripte ma si muovano sotto la luce del sole (e del web) comincia però a preoccupare. Infatti nel sito dell’ISDA vienne illustrato molto del loro “lavoro” e ogni volta le loro idee si trasformano in azioni, realizzate e concretizzate dai vari Sarkozy, Merkel e Monti. Il nostro premier, non a caso, a fine febbraio si è incontrato a New York con un certo Lim Teng Joon, un esperto di gestione delle risorse economiche europee e delle loro applicazioni economiche, che, oltre ad essere un professore (e tra professori e presidi ci si intende) è il rappresentate italiano nell’ISDA. Se il suo nome non fa pensare certo a radici mediterranee (al contrario, viene da Singapore), il suo lavoro basta a farne il nostro ambasciatore: da quando gli emiri hanno acquistato il 6,5 % del capitale di Unicredit (quota sufficiente per imporre qualsiasi decisione), il tecnico è il controllore della pianificazione degli investimenti in Europa di quella baanca. E ciò a quanto pare basta per far parte di questa lobby finanziaria che vede tra i suoi numerosi membri rappresentanti delle maggiori banche mondiali: Morgan Stanley, UBS, JP Morgan, Deutsche Bank, Goldman Sachs, BNP, HSBC, Black Rock Investment, etc. etc.




L’oligarchia liberale si è talmente affermata che questi soggetti possono determinare la politica mondiale senza nascondersi, riuscendo addirittura a trasformare agli occhi di tutti il governo dei pochi (e non dei migliori) nel governo del popolo, la finanza in politica.
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lunedì 26 marzo 2012

Chi è Joseph Kony? A chi se lo fosse chiesto, dopo aver visto e condiviso il video che in questi giorni circola in rete denunciandone gli efferati crimini, rispondiamo che è il capo di un gruppo di ribelli (Lord Resistance Army) ostile al presidente dell'Uganda Museveni, al potere dal 1986. Sicuramente, neanche lui un devoto dei diritti umani.

Il video che sta spopolando sul web è promosso dall’ONG Invisible Children, un’associazione che, con metodi assolutamente democratici, sta cercando di denunciare le azioni di guerra e i crimini contro l’umanità di Kony, cercando renderlo famoso anche agli occhi degli occidentali, cui viene presentato come l'ennesimo criminale da fermare ed abbattere. Un video che però, confezionato per i media occidentali, non è piaciuto al popolo ugandese e ai familiari delle vittime degli stessi ribelli, convinti, giustamente, che quella dei perfetti democratici di Invisible Children sia solo l'ennesima battaglia a scopo di lucro.

Tanto più che l'LRA non è un reale pericolo in Uganda, operando prevalentemente nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centroafricana, finanziati dalle potenze occidentali per creare disordini e crisi da governare, controllando, di conseguenza, un'area che, al centro dei guturi scenari energetici, fa gola a tutti. Divide et impera. La prova è fornita dal recente golpe militare del Mali, dove, la situazione, già descritta da Lotta Europea nelle settimane scorse, è evoluta nella presa del potere da parte dei militari governativi filostatunitensi.

Gli esportatori di democrazia hanno iniziato così una nuova campagna di giustificazione della propria crescente pressione militare in Africa, sotto lo sguardo cosciente di tutto il mondo, che invece di denunciare questa invasione, la acclamerà. Come nel 1945.
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venerdì 9 marzo 2012

Il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), organizzazione che riunisce le opposizioni estere di Damasco, con sede ad Istanbul, è stato riconosciuto legittimo dall'Unione Europea. Il consiglio di Bruxelles si è così schierato apertamente e definitivamente dalla parte dei cosiddetti "Amici della Siria", voltando le spalle anche agli altri movimenti di opposizione, contrari al CNS perchè favorevole ad un intervento straniero. L'Unione Europea ha inoltre annunciato "ulteriori misure restrittive mirate contro il regime", colpevole di "violenze e abusi dei diritti civili". Abusi che, come abbiamo già scritto, sono privi di qualsiasi prova che possa confermarli.
Da ultimo, anche lo stesso portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani, Rupert Colville, pur avendo denunciato 17 esecuzioni capitali che l'esercito siriano avrebbe compiuto ad Homs dopo aver ripreso il controllo della città, ha ammesso di non essere in grado di confermare le informazioni sui crimini commessi dai militari, in quanto fornite unicamente dalle stesse parti in causa e quindi quantomeno parziali.
L'appoggio agli "Amici della Siria" va letto nell'ottica di un più ampio scenario geopolitico: la caduta di Assad costituirebbe il presupposto per la creazione di un nuovo corridoio di accesso alle riserve energetiche irachene alternativo ad uno stretto di Hormuz sempre più instabile.
Una storia già vista in Egitto dove, dopo la caduta di Mubarak, è stato potenziato per lo stesso motivo il transito del greggio attraverso l'oleodotto di Sumed.

P.S.
Un dettaglio: la città sede del CNS. E ancora c'è chi crede alla favola della Turchia leader del mondo arabo in chiave antisionista...
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Lo scorso 5 marzo si è tenuto l’annuale congresso dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Commettee), la lobby pro israeliana di Washington, durante il quale Obama e Netanyahu hanno lungamente discusso sulla situazione nucleare iraniana. La posizione della Casa Bianca a riguardo sembra sempre la stessa: nonostante le rassicurazioni di turno su un aiuto che non tarderebbe ad arrivare nel caso in cui Israele intervenga militarmente, ha fatto intendere che per il momento preferisce risolvere “diplomaticamente” la faccenda, anche per timore delle conseguenze che un ulteriore impegno militare potrebbe provocare sull'imminente tornata elettorale e sulla già avanzata crisi finanziaria.
Nulla di nuovo, quindi.
Ma è strano, veramente, pensare che ad essere stati investiti dell'onore di proteggere il mondo intero da un’eventuale escalation nucleare sia stata l'unica potenza che l'atomica l'ha utilizzata, sganciandola sui cieli di Hiroshima e Nagasaki. Direttamente nelle mani del carnefice.
Ed è veramente strano che l'Occidente tutto guardi inorridito al programma nucleare di Teheran e tremi per il destino di Israele, l'unico stato del Vicino Oriente a possedere materialmente una ottantina di testate nucleari non dichiarate nonché uno dei pochi stati al mondo a non aver sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).
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Venerdì 16 marzo 2012 - ore 20.30

FORTEZZA EUROPA Pub

Viale di Tor di Quinto, 57/b - Roma
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martedì 6 marzo 2012

Nel fine settimana, gli Stati Uniti hanno aperto un nuovo fronte di guerra: il Mali. Un areo militare U.S.A., infatti, ha ha lanciati viveri e aiuti per i locali militari governativi, asserragliati nel campo di Tessalit, assediato dai miliziani del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla) in un'area completamente isolata dal resto del Paese. Un impegno al momento tutt'altro che pesante in uno scenario secondario e periferico che, a ben vedere, conferma la strategia di rinnovato interesse per il continente nero che già da tempo abbiamo denunciato.
Gli interessi di Washington nel Sahel non sono cosa nuova: già da tempo, infatti, la Casa Bianca premeva sul governo del Mali perché autorizzasse l'installazione di basi militari nei loro territori, ricevendo, però, sempre risposte negative. Il referente del Paese africano, infatti, era, fino a pochi mesi fa, l'ex-colonia Francia, la quale, però sembra avergli voltato le spalle, avendo apoggiato la ribellione Tuareg nei territori settentrionali. Quale il motivo di tanto interesse? Semplice: il paese è il terzo produttore mondiale di oro, il cui prezzo negli ultimi anni è passato dai 370 ai 1600 dollari. Quanto basta perché l'USAF faccia rotta verso queste terre.

L'operazione militare dei giorni scorsi potrebbe segnare la svolta definitiva nella politica estera maliana e una premessa perché le richieste statunitensi vengano "finalmente" accolte.
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giovedì 23 febbraio 2012

Succede tutto in poche ore. A Tbilisi, in Georgia, un diplomatico israeliano denuncia alla polizia la presenza di un ordigno sotto la sua auto. A Nuova Delhi, una bomba viene posizionata su un auto dell'ambasciata d'Israele, da due persone in moto. Quest'ultimo attentato ricorda i numerosi precedenti a Teheran, che hanno colpito alcuni uomini impegnati nel programma nucleare.
Ma non finisce qui, Israele denuncia anche una fallita azione terroristica che avrebbe dovuto colpire la sua ambasciata in Azerbagian. Questi attentati cadono come manna dal cielo per Israele, che, non perdendo tempo, in un sol colpo accusa sia Hezbollah e la vicina Siria che l'Iran, ben sapendo che un ipotesi esclude l'altra. Hezbollah avrebbe agito per vendicare l'uccisione del leader Imad Mughnyeh, nel primo anniversario della sua morte a Damsco; gli iraniani avrebbero invece voluto così lanciare una risposta alla moria di scienziati nucleari.
A ben vedere in realtà spunta una terza pista: è tanto paradossale pensare che questi attentati (che non hanno provocato nessuna vittima) saranno utili come ennesimo pretesto per contrastare le politiche di Teheran e Damasco?
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giovedì 16 febbraio 2012

Da quando la Corte Suprema americana ha eliminato i limiti ai finanziamenti delle campagne elettorali la corsa alla casa bianca si colora di verde, il colore dei dollari. I giganti dell’alta finanza, come Goldman Sach’s, UBS e Morgan Stanley, hanno investito almeno 1,8 milioni di dollari sul repubblicano Mitt Romney. Le stesse banche d’affari che a suo tempo investirono, seppure cifre meno ingenti, nella campagna dell'abbronzato Obama. Le stesse banche che nel 2008 hanno ricevuto dalla Casa Bianca un prestito di 161 miliardi di dollari per superare la crisi: i debiti prima o poi li pagano tutti.


Ma “la stella di casa” Romney non è la prima volta che intrattiene affari con i magnati dell’alta finanza: con G&S aveva investito in azioni “ipo” che dieci anni dopo gli hanno fruttato 1,1 miloni di dollari, e sempre con G&S ha creato un fondo, il Bain Capital, sul quale ha investito 40 milioni di dollari attraverso strumenti finanziari.



L’economia gira, e ormai ha ingerito completamente la politica. Le banche d’affari prestano soldi ai candidati, determinando fortemente l’ascesa degli stessi, i quali, una volta insediati, ricambiano il favore elargendo finanziamenti pubblici e coprendo le falle neei loro conti, determinano la crisi finanziaria che fingono di contrastare. E se questo sistema "democratico" si inceppa, ecco subito un rimedio più tecnico…
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martedì 14 febbraio 2012

Atene brucia, come nel 480 a.C., quando i Persiani di Serse devastarono l'Attica nonostante l'estremo sacrificio dei trecento di Leonida.
Atene brucia, ma nessun esercito l'ha occupata. Il nuovo nemico non ha elmi né spade, non ha un corpo né un anima. Non ha un nome, non ha una bandiera, non ha una terra. Non scende in campo aperto, ma opera nell'ombra. Eppure colpisce ed uccide.
Sono i nuovi barbari. Sono gli uomini della finanza internazionale e dell'usurocrazia mondialista. Sono i tecnocrati del nuovo ordine mondiale. Sono i politici, traditori del proprio popolo, novelli Efialte.Vinceranno una battaglia, supereranno altre Termopili, abbatteranno altre mura, devasteranno altre Acropoli e altri santuari, bruceranno altri campi.
Oggi come allora ad Atene si combatte per la civiltà d'Europa. Oggi come allora, gli uomini liberi vinceranno.
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domenica 12 febbraio 2012

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sabato 11 febbraio 2012

Non ci sono notizie ufficiali, non ci sono fonti credibili, non ci sono notizie certe, eppure i media occidentali non hanno dubbi: il governo Assad e l'esercito siriano stanno massacrando il proprio popolo, mietendo ogni giorni centinaia di vittime.
Senza considerare che se così fosse, le città sarebbero spopolate già da tempo. Senza considerare che un movimento di massa come quello descritto dalle migliori penne del giornalismo internazionale non nasce dal nulla, non si espande autonomamente e non rimane in piazza per mesi, ancor di più se colpita da una costante repressione. Senza considerare che un movimento autonomo non ha la propria sede di rappresentanza a Parigi. Senza considerare che un movimento spontaneo non necessita della costante presenza di agenti dei servizi segreti occidentali in loco.
Eppure sui giornali, compresi quelli italiani, continuano a comparire dettagliati reportage sul mercato nero delle armi e sull'aumento dei prezzi (si scrive che per acquistare un AK-47 a Beirut, dove si riforniscono gli insorti, bisogna sborsare 2100 dollari, a fronte dei 100 richiesti in Iraq), senza chiedersi da dove provengano i soldi necessari.
Eppure la conta quotidiana dei morti continua, con numeri precisi ed agghiaccianti, nonostante, qualche riga dopo, si scriva che non c'è nessuna notizia certa.
Eppure in video continuano a mostrare le case colpite dai bombardamenti dell'esercito, tutte con il tetto in fiamme, ma tutte rigorosamente in piedi, come se davvero ci fosse un rogo di gomme per le auto a simulare i danni delle bombe, come denunciato da Assad.
Eppure le voci dei ribelli, riprese da twitter, vengono sbattute in prima pagina come verità rivelata, mentre le note ufficiali del governo di Damasco vengono passate sotto silenzio, censurate preventivamente.
La macchina mediatica è in moto e sarà difficile fermarla, ma tanti piccoli granelli di sabbia potranno bloccare i suoi ingranaggi.
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venerdì 10 febbraio 2012



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lunedì 6 febbraio 2012

Parlando ai deputati nell'aula del parlamento regionale, nel castello di Holyrood, il primo ministro del governo autonomo scozzese Party Salmond, dello Scottish National Party, ha annunciato "la decisione più importante presa dal popolo scozzese negli ultimi trecento anni”: un referendum per richiedere l'indipendenza della Scozia dal Regno Unito. Nel 2014, 700 anni dopo la battaglia di Bannockburn, con la quale la Scozia guadagnò temporanemante (per tre secoli) l'indipendenza dall'Inghilterra, il popolo scozzese potrebbe essere chiamato alle urne e fare scaccia della sua fedeltà a Londra.
Un duro colpo per la corona inglese, se si considera che, dal 1969, sono attivi nel Mare del Nord numerosi siti di estrazione di greggio e gas, tanto che il Regno Unito, attualmente, nella classifica dei maggiori produttori europei di petrolio e di gas si colloca rispettivamente al terzo e al quarto posto: qualora si attuasse l'indipendenza, il 95% del petrolio e il 58% del metano estratti finirebbero sotto il controllo di Edimburgo. Secondo Salmond, "lo scopo e l’intenzione [del referendum] è che a trarne beneficio siano gli scozzesi”. E' per questo motivo che l’Inghilterra, sperando in una sconfitta del “sì”, sta cercando di anticipare i tempi della votazione, così da evitare una simbolica sovrapposizione di date che chiamerebbe alle urne una maggiore affluenza e risveglierebbe certamente l'identità scozzese.
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mercoledì 25 gennaio 2012

L'embargo europeo che blocca le importazioni di petrolio e di prodotti petrolchimici dall'Iran, non produrrà gli effetti voluti da Bruxelles, mentre sicuramente riuscirà a peggiorare la situazione economica dei paesi europei più dipendenti dal greggio iraniano, ossia le stesse nazioni che più pesantemente stanno facendo le spese della crisi finanziaria: Spagna, Grecia ed Italia, che insieme totalizzano l'80% dell'import europeo di greggio da Teheran.
L'Italia, in particolare, dipende fortemente dall'Iran, che rappresenta il suo quarto maggiore fornitore di petrolio. Inoltre, poiché il petrolio non è tutto uguale, le raffinerie italiane possono lavorare, in alternativa al greggio iraniano, quasi unicamente materie prime siriane, naturalmente anche esse indisponibili perché sottoposte ad embargo.
Al contrario, l'economia di Teheran non subirà forti contraccolpi da queste misure in quanto troverà nuovi acquirenti nella Cina e nell'India, la prima contraria all'embargo, la seconda pronta a pagare in rupie o in yen anziché in dollari. Il mercato iraniano fa gola a Pechino che, per bocca del suo presidente Hu Jintao, si è detta pronta a difendere Teheran in caso di attacco statunitense. Parole forti, che indicano come il dragone, oramai egemone nell'Africa subsahariana, è pronto a muovere i suoi primi passi nel Vicino Oriente, a caccia di materie prime per rifornire la propria industria manifatturiera.
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venerdì 20 gennaio 2012

L'agenzia Standard & Poor's, negli ultimi giorni, ha bocciato le economie di nove paesi dell'eurozona: tra questi, la Francia e l'Austria hanno perso la tripla A, Italia, Spagna e Portogallo sono scesi di due gradini, ottenendo una tripla B+ (Roma e Madrid) e una doppia B (Lisbona). Junk rating: livello spazzatura.
Come se ciò non bastasse, la scure della S&P si è abbattuta anche sull'EFSF, il fondo salva stati dell'UE, dimostrando ancora una volta come l'attuale crisi del mercato non sia assolutamente "spontanea", ma il risultato di un'attenta strategia messa in atto dai principali soggetti finanziari internazionali per muove guerra all'euro e all'Europa politica.
In questo disegno, le agenzie di rating ricoprono un ruolo essenziale, riuscendo ad orientare, con i propri rapporti sulla solidità dei conti privati e pubblici, le mosse degli operatori sul mercato. Tutt'altro che organismi terzi, autonomi, trasparenti, indipendenti o imparziali, esse sono finanziate e possedute dagli stessi soggetti sottoposti ai loro controlli e alle loro analisi. S&P, ad esempio, risulta controllata dal gruppo editoriale McGraw Hill, di cui è azionista di maggioranza Warren Buffet, società leader nel settore dei fondi di investimento: in questo modo, lo stesso personaggio opera un controllo totale, non ufficiale ma reale, sul mercato azionario, orientando gli investimenti ed investendo anche egli di conseguenza. Non è un caso, allora, che le stesse agenzie tacevano quando le banche si riempivano di titoli spazzatura, oltretutto non messi a bilancio, assegnando una tripla A alla Lehman Brothers, di cui tutti conosciamo la fine, o al Credit Suisse nonostate i suoi 125 milioni di dollari di perdite dovute ad investimenti su titoli derivati. Non è neppure un caso che, mentre vengono declassati i titoli di debito pubblico dei paesi europei, i buoni del Tesoro U.S.A. siano anncora giudicati AAA, nonostante Washington vanti un debito pubblico vicino al 100% del PIL (che arriva al 130% se si considera, nel conteggio, anche quello degli enti locali) e un debito commerciale di ben 600 miliardi di dollari: se fosse un'azienda privata sarebbe fallita già da tempo e il suo cda sarebbe dietro le sbarre. Ciò nonostante, forte del giudizio delle agenzie di rating, tutte made in U.S.A., Geithner, segretario del Tesoro statunitense, può permettersi di bacchettare i colleghi europei sulla necessità di tagliare il debito pubblico.
Alla luce di tutto ciò, è sempre più impellente la necessità dell'istituzione di un'agenzia di rating europea, indipendente ed oggettiva, il cui operato non sia influenzato dal mercato e dai grandi gruppi finanziari, ristabilendo il primato della politica sull'economia e sulla finanza. Un'agenzia che tuteli, anche sui mercati finanziari, l'indipendenza dell'Europa dalle interferenze di qualsiasi soggetto proveniente da oltreoceano.
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domenica 15 gennaio 2012

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giovedì 12 gennaio 2012

I preparativi per la guerra israeliana sono quasi ultimati. Il Pentagono ha pronti migliaia di soldati statunitensi da inviare a Israele. La notizia, anche se snobbata dai media occidentali, è stata confermata dalla stampa israeliana. Il Jerusalem Post, infatti, ha confermato l'arrivo delle truppe americane, giustificandolo come un preparativo per "la più grande esercitazione missilistica nella storia" in vista delle manovre militari targate USA-Israele che pare ci dovranno essere nella primavera del 2012. Questa operazione non fa altro che riscaldare ulteriormente il Mediterraneo orientale, soprattutto dopo gli ultimi scontri (fino a questo momento solo verbali) tra Ahmadinejad e la Casa Bianca, che ha lanciato un duro monito a chiunque osasse stringere accordi con l'Iran, nel tentativo di isolare sia dal punto di vista economico, sia da quello politico Teheran. Intanto continua la moria degli scienziati nucleari iraniani, vittime del Mossad, specializzato negli omicidi mirati almeno dai tempi delle Olimpiadi di Monaco del 1972 e dell'operazione "collera di Dio".
A tutto questo si aggiungono le esercitazioni militari iraniane nello stretto di Hormuz, striscia di acqua fondamentale per il commercio petrolifero mondiale. Una prova di forza, quella di Teheran, per ribadire che se l'America deciderà di "esportare la democrazia" anche lì avrà pane per i suoi denti.
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mercoledì 4 gennaio 2012

Il nuovo anno è stato inaugurato in Ungheria con l’entrata in vigore della nuova Carta Costituzionale, redatta dall'ampia maggioranza parlamentare del partito Fidesz. Forti critiche sono state sollevate, oltre che dalla popolazione, anche dai partner, europei e non: la Commissione UE, il FMI, e la paladina della democrazia Hillary Clinton, che si sono detti molto preoccupati della svolta ungherese, definita autarchica ed illiberale.
Come sempre accade, dietro questi aggettivi si nasconde la paura dell'Occidente per qualsiasi voce si levi contro il sistema liberalcapitalista imposto al mondo. Vediamo perché il caso ungherese costituisce un'eccezione a questa regola e quali sono le cause di tanto allarme.
La nuova Costituzione, la prima promulgata dopo la caduta del muro di Berlino, ha inserito tra i principi fondamentali alcuni concetti che suonano inaccettabili alle orecchie dei padroni del mondo: si parla espressamente di Dio, di tutela dell’embrione e di riconoscimento della sola unione in matrimonio fra uomo e donna.
A preoccupare però l'Occidente sono le politiche finanziare ed economiche messe in campo dal governo di Budapest: il premier Orban, infatti, ha deciso di non rinnovare il prestito concesso nel 2008 dal FMI, per non costringere il suo paese a sottostare ai pesanti compromessi stabiliti dall'organismo internazionale. Al contrario il primo ministro ha emanato una serie di provvedimenti rivoluzionari: ristatalizzazione dei fondi pensione, imposizione di una tassazione onerosa per i grandi gruppi stranieri operanti nel paese magiaro e limitazione dei poteri della Banca Centrale Europea. La risposta dell’Europa non è tardata ad arrivare con la sospensione dei negoziati per il prestito di 15 miliardi richiesto per risanare il bilancio statale. A questa decisione si sono aggiunte le minacce di sospensione dall' Unione Europea.
Per farla breve, l'Ungheria ha deciso di alzare la voce e di non cedere alle richieste internazionali, non curandosi delle pressioni internazionali ma, al contrario, seguendo quella che è stata definita la via islandese: impugnare il proprio debito come arma di ricatto.
Ad Est si è alzato un vento nuovo, a noi il compito di soffiare perché diventi tempesta e coinvolga tutta l'Europa.
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